Ci siamo. L’intelligenza artificiale non è più una vaga promessa futuristica, ma un fenomeno che sta ridefinendo i confini di quello che chiamiamo umano. Ma cosa succede quando le macchine imparano a decidere? Quando la logica computazionale prende il sopravvento sul nostro istinto, sulla nostra empatia? È qui che entra in gioco una figura chiave: l’AI Ethics Officer. Non è solo un nuovo ruolo aziendale, ma una necessità, un manifesto per un futuro in cui l’etica non sia un optional. E la domanda più importante non è tanto “che cosa può fare l’AI?”, ma “che cosa deve fare l’AI?”. E soprattutto: chi lo decide?

Un ruolo per il nostro tempo
Il compito dell’AI Ethics Officer è chiaro, almeno sulla carta: assicurarsi che le tecnologie AI siano sviluppate e utilizzate nel rispetto di valori etici condivisi. Ma fermiamoci un momento. Che cosa significa “valori condivisi”?
In un mondo in cui i bias algoritmici possono decidere chi ottiene un prestito e chi no, dove le applicazioni di sorveglianza possono minare la nostra privacy, il ruolo dell’AI Ethics Officer diventa un baluardo contro derive inquietanti. Non è solo tecnica, ma anche filosofia, giurisprudenza, e – più di ogni altra cosa – coraggio.
Perché ora è il momento?
Se guardiamo al panorama tecnologico, vediamo giganti come Google, Apple e OpenAI impegnarsi, almeno formalmente, sull’etica dell’AI. Google ha istituito team dedicati, sebbene non privi di controversie. OpenAI ha creato un comitato per la sicurezza. Apple ha integrato principi di trasparenza e privacy nelle sue linee guida. Ma non basta.
Perché ora? Perché il progresso è troppo veloce per essere ignorato. Come ha detto Ethan Mollick, “L’AI che usi oggi è la peggiore che userai mai”. La tecnologia evolve, e così devono fare le regole che la governano.
Chi può essere un AI Ethics Officer?
Qui la questione si fa interessante. Non basta saper programmare, né conoscere le normative. Serve un profilo multidisciplinare: qualcuno che sappia leggere i numeri, ma anche le emozioni; comprendere il codice, ma anche i principi morali.
Le competenze fondamentali includono:
- Conoscenze di base sui sistemi di AI e algoritmi.
- Familiarità con regolamenti come il GDPR e l’AI Act europeo.
- Una solida base filosofica ed etica.
- Eccellenti capacità comunicative per tradurre concetti complessi in decisioni pratiche.
Per la Gen Z, abituata a navigare tra tecnologia e valori sociali, questo ruolo rappresenta un’opportunità straordinaria. È il momento di formarsi su percorsi interdisciplinari, che uniscano ingegneria, filosofia, e diritto.
E in Italia?
In Italia, il discorso è ancora in una fase embrionale. Le aziende che adottano strategie di AI sono in crescita, ma manca un framework chiaro per affrontare le questioni etiche. Tuttavia, con l’introduzione dell’AI Act in Europa, anche il mercato italiano potrebbe vedere una maggiore domanda di esperti in etica dell’AI.
Per un giovane italiano che voglia intraprendere questa strada, il consiglio è chiaro: puntare su master internazionali e corsi interdisciplinari, magari combinati con esperienze pratiche in aziende innovative.
Perché è un tema che riguarda tutti
L’etica non è solo una questione per i filosofi. È una responsabilità condivisa. Oggi, ogni decisione che prendiamo sull’AI, anche solo scegliere un assistente vocale o impostare un filtro su Instagram, è una scelta etica. L’AI Ethics Officer, in un certo senso, è un po’ ognuno di noi. E mentre formiamo nuovi professionisti per guidare questo cambiamento, non dimentichiamo il messaggio più importante: la tecnologia non è buona né cattiva. È neutrale. Ma siamo noi, con il nostro senso etico, a decidere che mondo costruire. E quello, non è un compito delegabile.