Piante che imparano: i plantoidi-robot che si ispirano alle piante.
Mia nonna Germana aveva ragione a sgridare le piante dicendo loro che se continuavano a non darsi da fare e a rimanere rinsecchite le avrebbe buttate tutte senza pietà nel bidone della spazzatura. Probabilmente la temevano come la temeva mio nonno che di suo avrebbe fatto finire la macedonia nella spazzatura se ci metteva due ore a finirla e così da brave ubbidienti piantine si ripigliavano e buttavano fuori un timido germoglio.
Erano furbe quelle piante, tanto furbe. A me sembrava una presa in giro, giusto il contentino che faceva placare la nonna eppure funzionava, per un po’ continuavano a prender da bere. Credetemi le mie 500 lire per innaffiare quella serra stipata in 5 metri quadrati di balcone all’ottavo piano di un palazzo erano tutti guadagnati. Mi sono chiesta spesso di quanto fossero inutili quelle piante, soprattutto quelle che di rami ne avevano tre o quattro e non erano davvero né belle né decorative da vedere.
Una pianta speciale. La pianta che mi ritrovo davanti nel bel mezzo di un laboratorio di robotica nel mezzo della Toscana e più precisamente ancora a Pontedera è brutta come quelle del balcone di mia nonna ma è tutt’altro che una insulsa pianta da spazzatura. Oddio l’idea è pure forse partita anche un pochino da lì. In effetti i primi robot che Barbara Mazzolai si è ritrovata a costruire erano proprio degli spazzini e l’immondizia la dovevano raccogliere, chissà mi chiedo io, se hanno raccolto pure qualche pianta rinsecchita e che non aveva obbedito alla nonna di turno!
Dagli ordini della nonna agli algoritmi di una scienziata. Ogni tanto mi perdo per la tangente dei miei #connectingthedots ma riavvolgendo il filo di Arianna, anzi quello di Barbara ecco che torno alla pianta che ho davanti in questo laboratorio, questa volta si tratta di una pianta alquanto speciale e che forse non gliene importerebbe nulla degli ordini di nonna Germana ma degli algoritmi di Barbara Mazzolai e del suo team non può farne a meno. Hai mai sentito parlare di Plantoide? No? Di Umanoide sì però. Facciamo il solito #connectingthedots: se un umanoide è un robot che assomiglia ad un umano, un Plantoide è una pianta che assomiglia a una pianta. E fin qui ci siamo.
Un robot che cresce da solo? Ora: sto Plantoide (che tra l’altro non me ne voglia Barbara, ma a vederlo sembra un mega emoticos di quelli marroni fatti a triangolo – avete presente?) ha una cosa specialissima… delle radici che crescono da sole esattamente come le piante. Ovvero tu lo metti lì e queste radici si spostano nel terreno cercano l’umidità ed evitano gli ostacoli e crescono con una specie di microstampante 3D interna. Ho provato a spiegarlo proprio nello stesso modo alla mia estetista e devo dire che non ci ha capito nulla, perché secondo lei un robot non può crescere da solo, ha i pezzi, ha eventualmente delle asticelle dentro che escono tipo le antenne radio, ma da qualche parte deve avere qualcosa altrimenti da dove lo pigli il materiale? Tecnicamente devo fare un ripasso con Barbara per riuscire a spiegare anche alla mia amica Orietta che oggi tutto questo è possibile: il Plantoide non ha un’antenna dentro l’altra come quella della radio eppure cresce lo stesso!
Le infinite potenzialità di un plantoide e come metterlo in scala. Ora immaginate cosa potrebbe fare un plantoidenel futuro? Dalle ricerche del sottosuolo alla microchirurgia meno invasiva e più safe all’interno dei nostri cervelli! Sono letteralmente senza fiato e sono in questo laboratorio un po’ in disordine con cavi, computer ed elettrodi sparsi in giro proprio come un laboratorio di scienziati di una di quelle nuove trasmissioni di Netflix!
Barbara Mazzolai è una donna in carne ed ossa, non è occhialuta e neppure un nerd asociale come ci si immagina gli scienziati di fama internazionale. Barbara è pure bella, bionda, occhi azzurri, una voce da Podcaster e un fisico da trent’enne con un cervello da premio Nobel. Barbara è semplice nell’abbigliamento con i suoi jeans tanto quanto è semplice nello spiegare a me e a mio figlio di 11 anni una tecnologia che sembra la complessità trasformata in persona (anzi robot) eppure è lì, davanti a noi.
L’arte di vedere le cose in modo diverso. Le chiedo cosa l’ha portata dalla biologia alla robotica con un piccolo passaggio in biofisica e giusto un saltino come ricercatrice al Sant’Anna e poi l’arte, sì anche quella, la bellezza e l’amore per l’arte e per la natura. Tutto questo ha fatto sì che Barbara diventasse una scienziata che osserva la natura per creare robot che possano preservarla!
La curiosità è energia e alimento. La curiosità ha portato Barbara dalla biologia alla robotica. E’ la curiosità di Barbara ad alimentare le sue innovazioni, lei stessa si alimenta di questa curiosità come le sue piante si alimentano di acqua o come il Plantoide si alimenta di energia. Lei ha l’una e l’altra: acqua per vivere ed energia per farlo al massimo lasciandone un po’ anche per contagiare chi le sta intorno come l’Hyperloop di Elon Musk, che produce più energia di quella di cui ha bisogno.
Quando natura e scienza si incontrano e si aiutano a vicenda. Barbara ama la natura e da lì è nata la sua passione e strada facendo ha capito che la tecnologia può aiutare l’uomo a comprendere al meglio la natura e quindi a preservarla al meglio: la robotica che invece di distruggere la Natura la salvaguardia! Ho capito bene? Proprio così! Questo aspetto non lo avevo ancor messo tra i miei #connectingthedots!
Il problema è aumentare l’interdisciplinarietà a livello universitario. Vecchio tema da sempre e chi ci pensa a risolverlo? Ho provato a scrivere una lettera al ministro Lorenzo Fioramonti, attraverso messangers di Facebook (lo giuro, ho le prove!) appena si è insediato (lo so, non mi si filerà mai ma almeno posso dirci di averci provato a dire la mia). Capisco che avesse una marea di messaggi a cui rispondere in quel memento ma mi sembrava l’unico slot in cui potesse rispondere in uno slancio di ancora “normalità”, certo tutti bravi a dar consigli ma visto che io sono un microbo di cittadino magari Barbara puó essere invece ascoltata! Eppure, si sa anche questo… gli scienziati inventano, i politici parlano. Va beh, signor ministro Fioramonti quando ha tempo noi siamo qua a Pontedera (in Toscana) per fare due chiacchere serie su come innescare maggior trasversalità nelle nostre università italiane. Nel frattempo, proseguo con il mio racconto che, se anche non stravolge l’Italia, potrà lasciare qualcosa di nuovo a chi lo legge e stasera andremo a letto un pochino meno ignoranti, almeno è stato così per me dopo aver incontrato Barbara.
Il problema di passare dall’idea e dal prototipo alla produzione in scala. Un altro grosso problema, aggiunge Barbara, è passare dall’idea alla produzione in scala dell’idea. Ecco perché molti scienziati poi o fanno la propria startup oppure finiscono per continuare a prototipare. Occorre trovare incentivi per trasformare un prototipo in prodotto. Adesso facciamo un bel crowdfunding Barbara (magari traduciamo questo articolo per Elon che così ci da una mano e fa il passa parola con Mark) e vedrai che il modo per mettere a terra una genialata che tutto il mondo riconosce – lo troviamo. Intanto io voglio essere a bordo sul progetto proboscide di elefante e visto che si va in Africa ho prenotato il mio posto (travel agility sempre in allenamento): io porto le valigette o i libri degli appunti, quello che volete, ma ci sono, e per il momento mi taccio intorno alla riservatezza di questa super nuova scoperta che sfonderà i limiti delle braccia elettroniche! Stay tuned! Stay curious!
L’arte porta ad osservare il mondo con occhi diversi e così fa lo scienziato. Anche Barbara concorda: per tutti coloro che la propria strada tra Plantoidi o algoritmi non l’hanno ancora trovata meglio non fermarsi, l’importante è osservare il mondo che ti circonda, c’è bisogno di tutti, dell’informatico come del fisolosofo e anche dell’avocato e dell’artista. Barbara adora l’arte e da un po’ ha trovato il tempo per riprenderla in mano, perché andando per botteghe, come quando Leonardo andava dal Verrocchio, ha capito una cosa dal suo maestro di pittura: l’arte t’insegna a guardare le cose in modo diverso, e ogni volta quel diverso cambia, perché la luce cambia e colpisce quell’oggetto in modo nuovo trasformandolo, nel momento in cui lo riguardi è cambiato ancora, ogni cosa non è mai uguale a prima se ci pensi. L’artista guarda il mondo con occhi diversi e così fa il ricercatore e così fa chi scrive storie e così deve fare chi sta costruendo la sua di storia.
Non fermarti, guarda dove batte la luce su quella cosa che pare essere sempre la stessa e ne scoprirai una nuova, come Barbara, tu scoprirai il tuo di Plantoide.