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Donne CEO: i dati dimostrano che funzionano meglio (e perché dovremmo ascoltarli)

Qualcuno, commentando il mio precedente articolo “La mia CEO è una donna”, ha scritto che era “sessista”.
Sorrido ancora quando ci penso. Se raccontare due esperienze professionali, concrete e positive, con donne al comando viene letto come un attacco, allora forse abbiamo toccato un nervo scoperto.

Ma oggi non vi racconto un’altra storia. O meglio, sì, ma questa volta è una storia collettiva, fatta di numeri, studi e conferme. Perché quello che ho vissuto personalmente con le mie CEO – energia concreta, empatia attiva, leadership vera – non è una mia eccezione fortunata. È una realtà supportata dai dati.

Spoiler: sì, le donne CEO funzionano. E no, non “perché sono donne”. Funzionano perché portano risultati. Punto.

Quando le donne guidano, l’azienda corre

C’è chi pensa che mettere una donna al vertice sia un gesto simbolico.
Qualcosa di politicamente corretto. Un “segno dei tempi”.
Invece è una scelta strategica. Secondo uno studio di S&P Global, nei due anni successivi alla nomina di una donna alla guida dell’azienda, il valore delle azioni aumenta in media del 20%. Non male, no?

E non è l’unico dato interessante. Il Frank Recruitment Group ha scoperto che l’87% delle aziende Fortune 500 con una CEO donna ha registrato profitti superiori alla media. Quelle con un uomo al comando? Il 78%.

Anche nella Fortune 1000 le donne CEO ottengono risultati migliori in termini di crescita e redditività.

Quindi no, non è solo ispirazione. È performance.

Meno ego, più visione (e concretezza)

Uno degli elementi che ricordo con più gratitudine delle mie CEO è la loro capacità di gestire il potere senza sovrastare. Di prendere decisioni forti senza trasformarle in show.

Questa caratteristica ha anche un nome scientifico: minor propensione all’overconfidence. Le donne in posizioni apicali, secondo una ricerca dell’EIEF, mostrano una migliore gestione del rischio, una governance più solida e una crescita più stabile.
Sono meno attratte dalla finanza “di fuoco” e più dalla solidità. Meno spinte da dinamiche di ego, più attente agli impatti reali.

Non frenano l’innovazione, anzi. La guidano con logica, inclusione e senso del possibile.

Non solo numeri: anche innovazione e persone

Chi mi conosce sa che credo molto nel legame tra leadership e cultura aziendale. E ancora una volta, la scienza è d’accordo. Uno studio dell’Università di Roma ha analizzato l’impatto delle CEO donne su innovazione, capitale umano e investimenti. Le aziende guidate da donne investono meglio, ascoltano di più i team, valorizzano idee e persone.

Non si tratta di “umanità femminile”, ma di visione sistemica. Le CEO donne portano avanti una leadership che integra e non impone, che ascolta e non si isola, che fa leva su ciò che funziona davvero: il capitale umano.

Le CEO donne alzano l’asticella dell’efficenza produttiva

Se c’è un esempio che smentisce in modo elegante e definitivo i pregiudizi sulla leadership femminile, è proprio lei: Mary Barra, CEO di General Motors dal 2014, prima donna a guidare un colosso automobilistico globale.

An Insight, An Idea with Mary Barra: Mary Barra
DAVOS/SWITZERLAND, 23JAN15 – Mary Barra, Chief Executive Officer, General Motors Company, USA, is captured at the ‘An Insight, An Idea with Mary Barra’ session at the Annual Meeting 2015 of the World Economic Forum at the congress centre in Davos, January 23, 2015.

Sotto la sua guida, GM non solo ha tenuto il passo con un settore in piena trasformazione, ma ha anche alzato l’asticella dell’efficienza produttiva: nel 2024, l’azienda ha raggiunto una media di 37 veicoli prodotti per dipendente, superando giganti come Toyota (29) e Volkswagen (14). Un numero che da solo racconta una storia di processi ottimizzati e lavoro di squadra reale.

Ma l’efficienza non è l’unico dato a brillare. I ricavi di GM sono passati da 127 miliardi nel 2021 a 171 miliardi nel 2023, dimostrando che la visione strategica di Barra funziona anche sul piano finanziario.

Non parliamo solo di numeri però. Barra ha alzato anche l’asticella della qualità: Chevrolet e Buick sono tra i marchi più premiati secondo J.D. Power, punto di riferimento per l’affidabilità nel settore automotive.

E per chi ancora pensa che il mercato “premia altro”, basta guardare agli azionisti: +71,4% di ritorno totale (prezzo azione + dividendi) negli ultimi 10 anni. Ford, nello stesso periodo, ha segnato -10,2%.

Ma forse il cambiamento più importante è quello meno visibile: la trasformazione culturale. Inclusione, diversità, innovazione: sono parole che Barra ha trasformato da slogan aziendale a pratica quotidiana. Ed è anche da lì che nasce una produttività solida, una resilienza che dura e un’azienda che guarda avanti.

Ma allora perché ce ne sono ancora così poche?

Qui casca l’asino (ma anche un po’ l’intero sistema).

Le CEO donne sono ancora pochissime. In Italia, siamo sotto il 4%.
Nel mondo, più o meno si aggira intorno ad un 6%.
E non certo per mancanza di competenze.

I motivi sono sempre quelli:

  • Bias inconsci nei processi di selezione e non solo
  • Reti di potere prevalentemente maschili
  • Mancanza di role model
  • Sindrome dell’impostore (sì, ancora presente e ben nutrita)

Come sottolinea anche la Stanford Graduate School of Business, quando una donna viene assunta come CEO, cambia anche il modo in cui l’azienda parla delle donne: Non è solo una questione di “poltrona”. È una leva culturale potente.

Non è (solo) questione di capacità, ma di percezione

Uno dei freni più insidiosi alla leadership femminile non è la mancanza di competenze.
È la doppia lente con cui viene osservata.

Se un CEO uomo è deciso, è autorevole.
Se una CEO donna è decisa, è aggressiva.

Se un uomo guida con fermezza, si dice che “ha visione e leadership”.
Se una donna fa lo stesso, “vuole avere sempre ragione” o “non sa mediare”.

Se un uomo prende una posizione netta, è determinato.
Se lo fa una donna, “è rigida”, “poco diplomatica” o “ha bisogno di calmarsi”.

Una donna con le palle viene spesso vista come una “schiacciasassi”, mentre il suo collega maschio, con lo stesso approccio, viene celebrato come “il leader che ci voleva”.

Questi sono bias di genere. Silenziosi, radicati, apparentemente innocui.
Eppure potentissimi nel sabotare la percezione della leadership femminile.
Perché non basta essere brave: bisogna anche sopravvivere a come viene letta quella bravura.

Ed è qui che serve cambiare la cultura. Non solo dare spazio alle donne.
Ma smontare gli schemi con cui le giudichiamo.

Cosa possiamo fare?

Serve passare dalla retorica all’azione. Ecco da dove iniziare:

1. Normalizzare la leadership femminile
Smettiamola di stupirci quando una donna guida bene un’azienda. È normale.

2. Smontare gli schemi
Non basta dare spazio alle donne: serve anche cambiare gli occhiali con cui le guardiamo.
Una donna assertiva non è “troppo”. Una leader empatica non è “debole”. Una CEO determinata non è una schiacciasassi. È una CEO, punto.

3. Dare spazio alle storie
Raccontare chi ce l’ha fatta serve a chi ci sta provando. E aiuta a riscrivere il racconto collettivo della leadership.

4. Cambiare il metro di giudizio
Non serve cambiare le donne per adattarle al modello di leadership dominante.
Serve cambiare il modello. Basta valutare il potenziale solo attraverso il filtro della “grinta” o della “presenza scenica”. Una leadership può essere silenziosa, efficace, collaborativa. E funzionare benissimo.

Ci siamo capiti, no?

Nel mio primo articolo ho parlato di esperienze vissute.
Oggi aggiungo le evidenze.
E insieme ci raccontano una verità potente: le donne CEO non sono una rarità. Sono una risorsa.

Una risorsa che migliora i bilanci, i team, le persone.
Una risorsa che non si limita a “portare risultati”, ma cambia il modo in cui li otteniamo.

E allora non chiediamoci più se sono pronte.
Chiediamoci se lo siamo noi.

FAQ

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