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Quando il viaggio è formazione

Ho iniziato a viaggiare per lavoro più di 30 anni fa. L’università in Germania me la sono pagata proprio come guida turistica per gli anni di studio, poi è arrivata Volkswagen e dalla fredda città di Wolfsburg ho alternato viaggi di lavoro di qualche giorno a periodi lunghi come quello di un anno passato in Sudafrica. Da lì gli emirati, il Sud America e la Cina. Il globo lo ho attraversato prima per lavoro e poi per piacere, soprattutto per il piacere di imparare cose nuove sul mondo e nel mondo.

Travel for business Magazine

A scuola nel mondo

Viaggio con mio figlio da quando ha tre anni: viaggiamo on the road, alla scoperta del mondo. Questo modo di viaggiare lo chiamiamo Worldschooling: a Scuola nel Mondo. Abbiamo un’unica regola: imparare sempre qualcosa di nuovo. 

Viaggiare per piacere o per lavoro non è solo piacere o scocciatura, apre la mente. Quindi, se avete l’opportunità di viaggiare anche per lavoro cogliete quanto più di positivo questo vi possa offrire: vedere il mondo da angolature diverse e soprattutto comprendere le diverse culture. Avere la capacità di comprendere la diversità culturale è una di quelle skills preziosissime e fondamentale per lavorare in un’azienda multinazionale o per una piccola media impresa che guardi all’internazionalizzazione come ad una nuova opportunità.

Quello che noto è la tendenza a ridurre i viaggi di lavoro, per una questione di costi ma anche per comodità ma questo non facilita la gestione dei team a distanza. Il contatto personale deve rimanere, almeno ogni tanto. Serve ai manager per capire, serve al team per sentire, sentire la vicinanza e sentirsi compresi. Sono una grande sostenitrice di tutto quello che la tecnologia offre come opportunità di gestione a distanza, video conferenze e smart working ma non dobbiamo dimenticare l’importanza dello scambio umano: il mondo visto da uno schermo di un computer è pur sempre filtrato, non ha sapore e non ha odore, almeno per il momento.

Viaggiare per lavoro non è come viaggiare per piacere anche se molti credono sia la stessa cosa. E’ estremamente interessante ma risulta anche faticoso: le cene da soli in hotel non sono come quelle in famiglia magari dalla terrazza del “The View Hotel” con vista sulla Monument Valley. Chi viaggia tanto per lavoro vorrebbe farlo meno, chi non viaggia per nulla invidia chi lo fa. 

Con il COVID19 tutte le aziende hanno potuto toccare con mano che forse tanti viaggi di lavoro per semplici riunioni potevano essere limitati e che le video conferenze tanto quanto lo smart working possono essere non solo più efficienti ma anche più efficaci con un saving importante per l’azienda stessa. Sono peró altrettanto convinta che le relazioni umane debbano prima essere instaurate di persona e poi possano essere anche coltivate attraverso il digitale. E’ una questione di equilibrio.

Digital Mindset non significa solo saper usare la tecnologia

Nel mio libro “Nemmeno gli struzzi lo fanno più”. Vivere bene con l’Intelligenza Artificiale” scrivo di quelle che saranno le agilità che dovremo sviluppare per gestire al meglio il nostro futuro, per non essere sostituiti da un robot. Certo non potevo immaginare a novembre 2019, quando il libro è uscito,  che quei sei anni per perdere il lavoro di cui scrivo nell’ultima parte del libro, avessero potuto avere un’accelerazione tale da diventare sei mesi. Il Covid ci ha messo a cavalcioni su un razzo propulsore e anche i più restii ad usare Internet, socialmedia e smartphone sono stati costretti a farlo. L’AI ha fatto il resto. Il più grande problema è che il Mindset di molti è rimasto ancora alla stazione di partenza a sventolare un fazzoletto per richiamare indietro l’Hyperloop di Elon Musk nella convinzione che sia un treno a vapore.

Mondo e Oltremondo sono tutt’uno: Un nuovo Mindset per navigare la nuova realtà fluida.

Con il Covid siamo arrivati in pochi mesi in quello che Baricco nel suo libro “The Game” definisce l’Oltremondo, il mondo digitale: siamo ALL- Line, non esiste più una chiara distinzione tra online e offline, viviamo in una realtà fluida e poi arriva il Metaverso e in quella realtà non solo ci muoviamo ma proviamo emozioni. Per riuscire a navigare questo nuovo mondo dobbiamo necessariamente dotarci, e in fretta, del Digital Mindset. E… no, non intendo che dobbiamo saper usare bene ChatGPT quando parlo di Digital Mindset.

Digital Mindset e Travel Agility

Non è sufficiente saper usare la tecnologia: questa è condizione necessaria ma non sufficiente. Il Digital Mindset va ben oltre la “behavioural agility”.

Il concetto è ben più ampio ed include l’agilità cognitiva, l’agilità sociale e l’agilità nel gestire il cambiamento. 

C’è un’ulteriore agilità che a me è molto cara, che aiuta a sviluppare tutte le agilità del Digital Mindset ed è quella che chiamo travel agility. Proprio così: viaggiare, ovviamente non per andare in un villaggio o seguendo la guida con la bandierina, ma viaggiare on the road ci permette di sviluppare il Mindset giusto per affrontare il mondo ambiguo e complesso in cui siamo stati scaraventati senza apparente preavviso. I segnali di questo cambiamento, a dir la verità, li avevamo tutti davanti ai nostri occhi ma non siamo stati abbastanza veloci a collegare i puntini e leggerne il disegno. 

In questo Jurassic Park digitale, dobbiamo essere flessibili e capaci di collegare le nostre esperienze, dobbiamo proattivamente gestire il continuo cambiamento e fare i nostri connecting the dots, dobbiamo saper essere social sia dal punto di vista digitale sia umano, dobbiamo essere affamati nei confronti del diverso e avere quella folle curiosità che ci spinge a voler imparare continuamente qualcosa di nuovo. Qui entra in gioco la travel agility, una delle cinque agilità del digital mindset, quella più importante forse, perché in grado di farci andare fuori dai nostri confini, perchè ci spinge a sperimentare e a uscire dalla nostra zona di comfort, perché ci costringe a rimanerci sufficientemente a lungo fino ad allargare la nostra area di influenza.

Chi viaggia in un certo modo deve infatti saper usare i mezzi digitali per prenotare un volo, un hotel, cercare una recensione, usare una mappa della metro (behavioural agility) ma deve anche essere in grado di collegare i suoi puntini strada facendo e di seminarne di nuovi (cognitive agility); deve saper essere flessibile e cambiare programma lì dove necessario (change agility) e deve saper comunicare (anche in altre lingue) e instaurare relazioni buone comprendendo le diversità culturali (social agility). Ecco perché viaggiare, per svago ma anche per lavoro, non è solo un costo, ma un investimento. Quando viaggio non spendo, investo.

Osa, viaggia, vivi

Ricorderete tutti quel meraviglioso film (almeno per me) con Julia Roberts: Mangia, prega, ama; il mio motto è osa, viaggia, vivi.

L’Hyperloop non tornerà a prenderci alla stazione. Se non vogliamo rimanere con il fazzoletto bianco in mano dobbiamo osare; non è il momento di chiudersi a casa dietro uno schermo o sul divano con lo smartphone i mano, ma di aprirsi, soprattutto mentalmente, e fare il nostro connecting the dots, non lasciarlo fare all’AI.

Non tornerà tutto come prima, inutile attendere o sperare. Il Covid ci ha profondamente cambiati proprio come cambiamo quando facciamo un viaggio e l’AI ce ne sta facendo iniziare un altro. Chi viaggia davvero, chi va a scuola nel mondo, come scriveva Michel de Montaigne, va a sfregare il proprio cervello con quello degli altri e segue una sola ed unica regola: tornare diverso da come è partito.  Qui inizia e finisce il viaggio, quello vero, quello che ti forma.

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