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Bias di genere nella Leadership Femminile: essere CEO donna è ancora un percorso iniquo e irto di ostacoli

Parto da una premessa: il tutto è partito da una Newsletter di Mc Kinsey, un articolo sulle caratteristiche delle donne CEO e perché sono un valore aggiunto per le aziende. Ho avuto una intuizione, qualcosa non mi tornava e sono andata a rileggere altri articoli di altre Newsletter. Ho chiesto a ChatGPT di aiutarmi nell’analisi ma niente, ma ho finito per discutere a suon di prompt! Non coglieva il punto, mi riproponeva esattamente gli stessi Bias che volevo scovare tra le righe di quelle Newsletter.

Poi ho detto a “Sam” (così chiamo il mio GPTs) di riflettere sugli articoli che gli stavo proponendo… se non notava che ricorrevano sempre gli stessi attributi per le donne CEO. Ed eccoci qua con questa riflessione.

Bias di genere nella Leadership Femminile: essere CEO donna è ancora un percorso iniquo e irto di ostacoli

Nella mia carriera ho lavorato con sette CEO, di cui due donne straordinarie, con la seconda ci lavoro tutt’ora. Quest’esperienza mi ha fatto notare alcune sfumature della leadership e su come il genere influisca sulla narrazione che ne viene fatta e sul fatto che io abbia apprezzato e apprezzi queste donne non per la loro empatia o per la loro resilienza o la capacità di lavorare in team, anche, ok, ma le ho apprezzate e le apprezzo soprattutto per la loro visione strategica, la loro capacità di analisi e la capacità di risolvere i problemi nonché quella determinazione nel portare i cambiamenti fino in fondo, assumendosene la piena responsabilità. Questo è il punto. Ed è questo il motivo per il quale mi viene il voltastomaco ogni volta che leggo un articolo sulle CEO donne.

Nonostante le buone intenzioni, molti articoli, blog e podcast descrivono e narrano le donne leader prevalentemente come esempi di equilibrio tra vita e lavoro, resilienza ed empatia. Questa narrazione, benché positiva nelle intenzioni, rischia di intrappolarci in stereotipi limitanti, non rappresentando la complessità e varietà delle competenze femminili e dove, diciamocela tutta, abbiamo molto di più da dare di una Leadership empatica e orientata al clima aziendale!

Questo quello che ho scovato nelle Newsletter che ho ricevuto

Nei primi cinque mesi del 2025, diverse testate autorevoli (sono iscritta alle loro Newsletter e li ho contati tutti) hanno pubblicato articoli sui CEO, evidenziando chiari bias di genere:

  • Harvard Business Review (15 articoli): CEO uomini descritti con enfasi sulla visione strategica e orientamento ai risultati; CEO donne enfatizzate per empatia, resilienza e gestione relazionale.
  • McKinsey & Company ha pubblicato almeno due articoli focalizzati sulle donne CEO. “The Inner Game of Women CEOs” esplora come le donne leader navigano le transizioni di leadership e superano mentalità limitanti, enfatizzando competenze come l’autoconsapevolezza e la resilienza. “To Climb to the Top, Women Should Focus on Skill Building” discute l’importanza per le donne di costruire il proprio capitale di esperienza per avanzare nella carriera. Entrambi gli articoli sottolineano le qualità relazionali delle donne leader, come l’empatia e la resilienza, ma continuano a rafforzare stereotipi di genere concentrandosi meno su aspetti come la visione strategica e l’orientamento ai risultati.
  • New York Times (12 articoli): CEO uomini focalizzati su innovazione e risultati concreti; CEO donne evidenziate per equilibrio tra vita professionale e personale ( e qui passo dalla nausea al vomito).

Gli studi sulla narrazione indirizzata alle donne CEO

Studi recenti, come quelli condotti dalla Stanford Graduate School of Business e pubblicati su SAGE Journals, mostrano chiaramente che la narrazione predominante delle donne CEO tende a enfatizzare qualità come empatia e collaborazione piuttosto che competenze strategiche e decisionali.

È proprio questa narrazione, apparentemente positiva, che potrebbe contribuire al fatto che le donne non vengano sufficientemente considerate per posizioni apicali come quella di CEO.

Quali sono infatti le caratteristiche richieste prioritariamente ai CEO? Visione strategica, capacità di problem solving, decisionalità. È raro che empatia e resilienza appaiano in primo piano negli annunci per posizioni di CEO.

La stessa narrativa, in apparenza favorevole alle donne, finisce in realtà per escluderle indirettamente da ruoli di massimo livello. Sono arrivata alla mia conclusione.

I Bias: un fardello femminile

Questi dati mostrano come le narrazioni sui leader aziendali siano fortemente influenzate dal genere, assegnando agli uomini qualità considerate strategiche e orientate al risultato, mentre alle donne vengono attribuite qualità legate all’empatia e al bilanciamento tra vita e lavoro.

Questo differente trattamento rinforza stereotipi che possono limitare la percezione delle capacità strategiche e decisionali delle donne leader.

Se una donna non rispecchia questi stereotipi, rischia di essere etichettata come aggressiva o poco incline alle relazioni, compromettendo la percezione delle sue capacità professionali. La cosa peggiore? Gli autori degli articoli sono prevalentemente donne!

Eccola qua: siamo noi stesse donne a perpetrare gli stessi stereotipi dai quali vogliamo distaccarci.

Se penso alla mia prima CEO ricordo bene di aver detto a Bettina Wuerth “Mi piacerebbe molto accettare il suo incarico, ma l’iter di selezione è durato cinque mesi e nel frattempo sono incinta!” E la sua risposta è stata:” E quindi? Sei incinta, non malata!”, non c’è stato bisogno di rinnovare il fatto che sarei stata al 100% sul mio nuovo lavoro, che avrei dato il massimo, un uomo non lo fa e non si sente in dovere di farlo, anche se ho visto molti uomini diventare molto meno disponibili sul lavoro alla nascita di un figlio.

Perché una donna quando deve andare in trasferta eventualmente dice che non riesce ad organizzarsi con i figli, si sente in dovere di dire perché, un uomo dice che non può in questo momento, punto.

La pressione aggiuntiva e l’inequità del percorso

Non c’è dubbio sul fatto che le donne leader affrontano una pressione aggiuntiva significativa, derivante non solo dal contesto sociale e culturale, ma anche da aspettative interne di dover eccellere contemporaneamente sul lavoro e nella vita personale. Questa pressione genera un senso di colpa costante e una sensazione di inefficacia quando non riescono a raggiungere standard irrealistici. Non ho mai sentito un mio capo CEO uomo dire “Sento di trascurare i miei figli” oppure “vado via una settimana per recuperare il tempo che non dedico a mio figlio”, mai. Ho sentito uomini CEO invece dire “Vado via una settimana per fare il mio Trail in montagna, ho bisogno di recuperare” Mai e poi mai una delle due donne CEO mi ha detto “Vado a farmi una vacanza da sola per riprendere fiato”, non è permesso, sarebbe egoista e fuori luogo. Non ci pensiamo neppure lontanamente e se lo facciamo, qualche secondo dopo, ci sentiamo in colpa.

Personalmente, ho sperimentato più volte questa pressione anche durante la mia carriera, sentendomi spesso inefficace sia professionalmente che personalmente. Ricordo un esempio emblematico: un CEO uomo veniva lodato per aver trovato equilibrio personale grazie allo sport, mentre una donna che si fosse dedicata allo stesso modo sarebbe stata percepita come egoista, perché ci si aspetta prima di tutto che, dopo il lavoro, si occupi degli altri e se il mercoledì sera e il sabato mattina vado dal mio personal Trainer Massimo allora mi vien chiesto “ma come fai a fare tutto?”

IO non faccio tutto: vado SOLO due volte a settimana per un’ora dal mio personal Trainer! E se vado in trasferta quante volte mi sono sentita chiedere: ”Come ti sei organizzata con tuo figlio?” ma mai al mio capo CEO uomo è stata fatta la stessa domanda. E che cavolo! Basta! Non se ne può più.

E se la famiglia non ce l’hai?

Allora con disprezzo si sussurrerà nei corridoi “Ha rinunciato a tutto per il lavoro, lei è il suo lavoro, non ha nient’altro ma forse un uomo ogni tanto le farebbe bene”. Critiche feroci per aver “rinunciato” alla vita personale in favore della carriera, rafforzando ulteriormente narrazioni ingiuste e stereotipate, critiche che un uomo non avrebbe mai perché è “uno che se la sa godere fino in fondo!”

Il mito della “superwoman”

“Sei davvero una super women”, me lo sento dire e lo dico io alla mia capa, già, perché dobbiamo esserlo per sopravvivere e lo siamo, apparentemente. Poi quando siamo sole, quando abbiamo messo i figli a letto, quando abbiamo riletto l’ultima analisi del conto economico, allora crolliamo e ci diciamo “Non ce la faccio più! Mando tutto a puttane”, per poi ricominciare il giorno dopo un po’ più stanche di quello prima e aspettiamo che arrivi l’estate per riuscire a staccare almeno un pochino per davvero, forse.

L’ideale della “superwoman” impone questo doppio standard insostenibile per le donne: dover eccellere contemporaneamente su più fronti. Questo standard genera stress e frustrazione, influenzando negativamente la salute mentale e la performance professionale delle donne.

È un circolo vizioso che rende il percorso delle donne verso il successo ingiustamente arduo ed estremamente iniquo.

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